congruenze spaziali / Scrollpainting 105

Elisabeth Sonneck



23.04.22 - 30.05.22

Le installazioni temporanee e site specific di Elisabeth Sonneck rispettano lo spazio esistente così come gli oggetti ritrovati coinvolti come una controparte intatta, come attori indipendenti, al pari delle proprie opere. Di conseguenza, lei non realizza modifiche architettoniche né eliminazioni di difetti della situazione esistente. Le sue formazioni flessibili di carta di grande formato vengono solitamente fissate senza chiodi, viti o altri interventi nella sostanza architettonica. L’artista utilizza invece marginalia come tubi esistenti, crepe, sporgenze. Il processo di installazione diventa parte integrativa dell’opera e fonde la pittura su carta prodotta in studio con le particolarità dello spazio per creare una situazione d’insieme temporanea e delicatamente equilibrata. Anche la sua pittura è concepita in modo processuale: la portata fisica definisce la lunghezza e il raggio delle sue lente pennellate a mano libera, le molteplici sovrapposizioni di sfumature di colore differenziate, le variazioni nella ripetizione e le interruzioni sfalsate delle pennellate simili a staccato, che – come un indice – rendono visibile la creazione della tonalità di colore.

Dal 2006, Elisabeth Sonneck lavora nello spazio espositivo con la tensione materiale inerente nei lunghi rotoli di carta. Sono possibili innumerevoli ibridi e formazioni tra lo stato completamente arrotolato, cilindrico e il nastro completamente srotolato con contorni curvi. Le installazioni dell’artista nascono attraverso un continuo riciclo e metamorfosi.
Il fatto che l’applicazione della pittura rimanga in parte celata nei passaggi dei scrollpaintings di Sonneck mina un nesso economico tra visibilità e lavoro coinvolto nella sua pittura differenziata. Allo stesso modo, gli oggetti trovati rotti che servono a fornire equilibrio fisico alle sue installazioni sono alienati dal loro scopo originale. Pittura e avanzi quotidiani si scontrano, lo spazio diventa un luogo di soggiorno temporaneo e fragile – in colore.

Gennaio: un lungo dialogo a distanza con Elisabeth Sonneck è servito a precisare la formulazione di Arte elementare. L’intuizione era per me chiara, ma la sua espressione rischiava di prendere strade sbagliate; come per le calli veneziane, andar dritto non significa seguire il cammino più semplice, ma magari svoltare più volte per vicoli improbabili. E allora, sì, «elementare non significa semplice»; al contrario, il rapporto con un elemento è ricerca, sviluppo, e porta inevitabilmente a complessità. Elementare, pertanto, ancor meno rimanda a naïveté – ed Elisabeth rivendica il ruolo fondamentale del pensiero nella sua arte, così ben ancorata al movimento post-minimalista. Il rapporto con l’elemento l’ho chiamato diretto, ma questa dirittura è, appunto, non letterale: conveniamo insieme su «immediato», è l’aggettivo giusto, perché rimanda a un contatto, e soprattutto perché mi permette di esplicitare la mia distanza dalla riflessione sul medium. Riflessione, infatti, implica controllo, e il controllo non permette di scoprire l’inatteso nell’elemento con cui si interagisce. Sono tutti tasselli che mi avvicinano all’opera di Elisabeth, che ne permettono una lettura precisa. La scelta di usare una serie di regole definite nel suo gioco creativo – la carta, il colore ad olio, le pennellate lunghe, il formato quadrato o più frequentemente il rullo di carta – potrebbe far pensare a una riduzione in cui il concetto domina l’opera. No, per quanto si tratta di scelte ben pensate, questa riduzione dell’alfabeto artistico non implica affatto una limitazione del linguaggio entro un pensiero angusto. Al contrario, ci rende ancora più sensibili alle combinazioni, alle variazioni, all’articolazione di questo alfabeto. Ogni concetto, in quanto «generalità ristretta» (Gareth Evans), da un parte ha una funzione limitante, perché raccoglie sotto di sé più cose, dall’altra ha una funzione moltiplicante, perché si applica a più cose. La riduzione operata dalle scelte preliminari di Elisabeth è dunque sempre anche un concetto che apre al molteplice, persino all’inatteso. Sì, persino all’inatteso, dal momento che tra queste scelte di partenza, nel caso dell’uso dominante dei rulli di carta, vi è quella di mettere al centro la gravità, paradossalmente attraverso la materia cartacea, leggera, dalle pieghe solo parzialmente prevedibili. Le sospensioni al muro o al soffitto dei rulli di carta orientano le spazio secondo una linearità che si piega alla forza gravitazionale. Più che disegno nello spazio, si tratta – letteralmente – di “linee di forza”, che visualizzano il movimento nello spazio. Questo movimento modella lo spazio in netto contrasto con le superfici planari della stanza. La verticalità dei rulli appesi al soffitto è in realtà solo il punto di partenza di un movimento che scalza completamente l’ortogonalità di orizzontale-e-verticale, facendo emergere prepotentemente il movimento della spirale, del vortice, della curva. Da Euclide a Riemann, o Lobachevsky: la geometria dello spazio si fa concava o convessa. Lo spiegamento del rullo fa così pensare alle antiche carte geografiche, ma anche ai macchinari tipografici. E in effetti Elisabeth opta per una procedura sistematica nella preparazione dei suoi lavori. Ma, appunto, si tratta solo di una preparazione: il quadro è fisso, ma cosa vi avviene all’interno è tutt’altro che determinato, o determinabile in partenza. Alla riduzione delle scelte preliminari e alla sistematicità della preparazione segue infatti un lavoro di creazione spaziale fatto (anche) di improvvisazione pittorica. Un lavoro relativamente veloce, fisico, corporeo, che dunque porta con sé le alee del momento presente. Quando siamo passati a discutere dell’organizzazione per la creazione delle opere al Kunstraum Hochdorf, mi sono stupito nel sentirmi dire: «Mi serve solo una scala. Il resto lo porto io, e mi bastano solo due o tre ore». Non ne va dunque solo della site specificity, ma anche di una time specificity – qualcuno direbbe più confusamente “performance” – ovvero di quella specificità della situazione in cui l’esplorazione delle risorse di un elemento e dei suoi materiali fa lo spazio stesso. Questa tensione tra sistema ed alea mi fa pensare alla musica – che pure risuona in molti titoli delle sue opere. Non tanto alla loro tensione programmatica nelle composizioni (e nelle lezioni di Darmstadt) di Karlheinz Stockhausen o di John Cage, quanto alla loro complicità nella musica spettrale. Nel dialogo con Elisabeth, infatti, il nome di Gérard Grisey torna regolarmente come un riferimento importante – che esprime anche una passione condivisa. Ora, nella musica spettrale, più che di sistematizzare l’alea o di rendere aleatorio un sistema, si tratta di ampliare sistematicamente l’analisi del suono per poter poi disporre di una tavolozza talmente ricca da realizzare una piena libertà coloristica (e libertà di pensiero, anche, a considerare per esempio l’atteggiamento che ha storicamente connotato l’ensemble L’Itinéraire). Con i lavori di Elisabeth la metafora della tavolozza diventa reale, e le metafore musicali diventano significative: i suoi rulli diventano allora partiture, la sua meticolosa scelta dei colori richiama l’analisi dei sonagrammi di Émile Leipp, ma anche e soprattutto il piacere esplorativo dei microtoni. Più che il movimento, è il colore l’elemento di esplorazione di Elisabeth, nella misura in cui le bande di colore doppiano e dialogano con il movimento dei rulli. Una questione di ritmo. Le linee di forza rese visibili dal movimento dei rulli veicolano il colore come vero elemento di creazione dello spazio. Un elemento che per la sua natura qualitativa, quantitativamente indeterminabile, rende le linee di forza nella spazio meno definitive. Si dovrebbe sempre scrivere “vibrato” sulla partitura di colore che le sue opere “suonano”. Colore vibrato, colore sonoro – il colore è l’elemento che prolunga il filo rosso spazialista delle opere proposte in Arte elementare. Su questo rapporto colore-spazio è Elisabeth stessa, già tempo fa, a scrivere: «Mit der raumbezogenen Malerei möchte ich […] auf Situationen hinarbeiten, in denen die Wahrnehmung von Farbe nicht nur optisch, vis-à-vis, sondern im unmittelbaren Verbund von Ort, Zeit und handelnder Person entsteht, indem die Farbe dem Betrachter nicht mehr nur “vor Augen steht”, sondern er sich in ihrer räumlichen Umgebung bewegt und sich je nach Standort und Blickrichtung und -dauer sein momentanes und veränderliches Blickfeld schafft». “Situazione”, “immediatezza”, “campo”: tornano alcune parole chiave dell’arte elementare. E con esse anche la dimensione momentanea e mutevole delle opere di Elisabeth.Come le opere suonate terminano nella memoria, le opere di Elisabeth sono destinate a sparire con la fine della mostra, non vivono nella permanenza bensì nella situazione. E allora mi piace pensare alla performance sonora che chiuderà Arte elementare a Hochdorf, quasi fosse una continuazione del vibrato delle opere di Elisabeth. Stephen Menotti, artista dall’enorme sensibilità musicale, creerà un altro spazio ancora, attraverso l’esplorazione del suono del trombone in mezzo alle opere. Quando l’ho incontrato su un ponte di Basilea, ho visto il suo dispositivo di quattro tromboni e un sistema di diffusione del suono tramite altoparlanti. Lo stava testando e mi è immediatamente parso la forma ideale per chiudere Arte elementare con una situazione performativa che attraverso un altro elemento ancora continua la ricerca spaziale delle opere proposte. Come per Elisabeth, le regole del gioco sono chiare, in certo senso semplici. Ma il gioco resta aperto, complesso, vivo, come lo spazio che crea.

Giuseppe Di Salvatore

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