PITSTOP

PITSTOP


con un contributo di Cesare Pietroiusti

evento: 01.02.2025 dalle 14:00 alle 22:00
Roma


🏁 Clicca sull’indirizzo per scoprire il punto preciso 🏁

🏎️

1° tappa: 14:00 :

SPAZIO IN SITU

via san biagio platani 7.

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2° tappa: 16:00 :

PIGNETO

via ettore fieramosca.

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3° tappa: 18:00:

SAN LORENZO

largo settimio passamonti.

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🚜

4° tappa: 20:30:

OSTIENSE

riva ostiense.

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sabato 1 febbraio 2025 a partire dalle 14:00, vi chiediamo di seguirci attraverso 4 tappe nella città di roma, o comunque di intercettarci lungo il percorso.
sei interventi si sovrapporranno al fine di creare un unico congegno, contenitore e contenuto. 
ciascuna tappa vedrà l’attivarsi dell’azione in un tempo predeterminato, per poi ripartire verso quella successiva, in un susseguirsi di gesti ripetuti, attese e aspettative; una sorta di coreografia quindi che si verifica in un momento, il pit stop appunto, un tempo di pausa che non vuol dire immobilità, ma che rimanda a un’azione in potenza.

Solar Dogs

>

SOLAR DOGS


A cura e con testo di Caterina Taurelli Salimbeni

Con:
Francesco Andreozzi, Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Francesca Cornacchini, Marco De Rosa, Federica Di Pietrantonio, Chiara Fantaccione, Andrea Frosolini, Giulia Gaibisso, Daniele Sciacca, Guendalina Urbani

Inaugurazione il 27 ottobre 2023 dalle 19:00

Performance di:
Andrea Frosolini: 19:00
Francesca Cornacchini: 20:00

Spazio In Situ
Via San Biagio Platani 7
00133 – Roma

dal 27 ottobre 2023 al 30 novembre 2023


LOREM IPSUM / A collective exhibition without a theme

LOREM IPSUM

A collective exhibition without a theme

a cura di Irene Sofia Comi

Dal 18 ottobre al 19 novembre 2022
Via San Biagio Platani 7 // 00133 Roma

Lorem Ipsum è una mostra segnaposto, una formula riempitiva. Il titolo della collettiva curata da Irene Sofia Comi prende spunto dall’omonimo testo campione usato generalmente per le bozze di grafica e di programmazione che, seppur venga generato in maniera casuale, condivide alcune caratteristiche con un vero testo scritto, simulandone apparenze e struttura.
Questo testo si basa sulla storpiatura dello scritto De finibus bonorum et malorum di Cicerone del 45 a.C., dove le parole latine sono state estratte e rimescolate senza l’intenzione di creare un testo di senso compiuto. Allo stesso modo Lorem Ipsum si propone di riflettere e superare le norme metodologiche da seguire per la costruzione di una mostra collettiva, tra le quali compare, in prima linea, la necessità di una tematizzazione. Anziché concentrarsi su un tema, l’esposizione pone l’accento sulla struttura che ruota intorno al concept, allo spazio espositivo e agli apparati testuali e comunicativi, indagando i meccanismi espositivi e processuali che determinano lo sviluppo di un progetto: produzione dei lavori, spazio espositivo, allestimento, testo curatoriale, titolo, grafica, etc.
Nel mettere in pratica questa scelta, l’esposizione si propone come spazio di libera riflessione intorno a forme espressive e metodologie curatoriali più sperimentali e condivise. Spazio in Situ non è più solo un white cube, uno spazio espositivo asettico e sacrale, ma diventa anche immagine, scenografia e intervento collettivo. Le nove opere degli artisti e delle artiste dialogano nello spazio senza l’esigenza o l’obbligo di ruotare intorno a una o più tematiche comuni, esprimendosi al di fuori di vincoli e costrizioni predeterminate, diventando a loro volta suggestioni per la creazione di un racconto immaginativo.
Lorem Ipsum è un tentativo di svincolare gli sguardi, le pose e le posizioni dai punti di riferimento abituali, in un work in progress continuo tra artista, curatore e fruitore.

MATERIA NOVA – WHAT’S A MUSEUM?


INAUGURAZIONE: 21 Dicembre 2021 – fino al 13 Marzo 2022

MATERIA NOVA – A cura di Massimo Mininni – GAM Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale

Spazio In Situ Post Ex – Ombrelloni Art Space – SPAZIOMENSA – Off1c1na – Condotto48 – Castro – Paese Fortuna

What’s a museum?

Il luogo in cui viene esposta un’opera ha il potere di legittimarne il valore. Un concetto che, applicato alla lettera, conferisce al contenitore un’aura maggiore di quella che scaturirebbe dal contenuto.Immaginate, solo per un istante, che il contenuto si trasformi in contenitore del contenuto stesso, e, viceversa, che il contenitore diventi soggetto della rappresentazione. Cosa ne risulterebbe? Il contenuto del contenitore o il contenitore del contenuto? Un cortocircuito concettuale, un ripiegamento tra significato e significante in grado di generare una riflessione circolare autonoma; una coppia di specchi che si contemplano a vicenda annullando completamente la percezione dell’originale, in un perpetuo ripetersi di copia/incolla. Forse stiamo divagando, ma forse è anche questo un punto di partenza per interagire con un museo o con una mostra che estrapola degli “spazi” dal loro contesto, riproponendoli in altri “spazi”. È dunque evidente che, per portare avanti quest’azione al limite dell’assurdo, lo spazio interrogato riproduce lo spazio in cui viene ospitato. Perdendosi tra domande fuori luogo anche se site specific, Spazio In Situ invita il pubblico a guardare il museo, o la sua rappresentazione, ponendo l’attenzione sulle sue caratteristiche e sul suo statuto, che orienta e plasma l’atteggiamento dell’individuo fino a renderlo spettatore.

GAM Galleria D’arte Modera di Roma Capitale
Via Francesco Crispi, 24, Rome, Italy

IPERSITU

IPERSITU

inaugurazione il 30 ottobre Spazio In Situ dalle 18:30
dal 31 ottobre al 28 novembre 2021
dalle 11:00 alle 20:00 (su appuntamento)
Via San Biagio Platani 7A cura di: DANIELA COTIMBO

Artisti:
SVEVA ANGELETTI // ALESSANDRA CECCHINI // CHRISTOPHE CONSTANTIN // FRANCESCA CORNACCHINI // MARCO DE ROSA // FEDERICA DI PIETRANTONIO // CHIARA FANTACCIONE // ROBERTA FOLLIERO // ANDREA FROSOLINI // DANIELE SCIACCA // GUENDALINA URBANI

foto di Marco De Rosa


“In un iper-luogo ogni individuo incontra il mondo. Sperimenta l’esperienza intensa di condividere temporaneamente uno spazio di affinità con persone provenienti da tutto il pianeta. Una moltitudine di flussi, energie, forze e destini li attraversa ogni giorno. Vi si incrociano le linee di vita di coloro che li abitano, sia di passaggio che per lavoro o per viverci.” Michel Lussault

Ipersitu nasce con l’intento di investigare lo spazio d’artista come un iperluogo, flusso incessante di scambi tra fisico, cognitivo e digitale in relazione alla pratica artistica.
Nell’attuale era post pandemica, tale pratica ha subito radicali cambiamenti, dovendo far i conti non solo con la mancanza di risorse e con l’impossibilità di preservare i propri rituali in termini di presenza e relazioni ma anche con l’intensificarsi dell’utilizzo dei media digitali come luoghi di aggregazione e significazione.
Tutto questo ha coinciso con una totale mancanza di riconoscimento istituzionale e con il rischio per gli artisti di essere relegati alla dimensione dell’invisibilità.
Proprio lo studio, in questo senso, ha rappresentato una forma di resistenza, preservando non solo il suo ruolo di luogo deputato alla ricerca ma aprendosi anche all’attività espositiva e di accoglienza, confermando così la sua valenza sociale e culturale.
In occasione del quinto anniversario di Spazio in Situ, gli undici artisti che ne fanno parte sono chiamati ad interrogarsi sul ruolo intermediale dell’artist-run space, crocevia di esperienze interconnesse.
Tale indagine passa inevitabilmente da una rivisitazione dello spazio: l’area normalmente deputata all’esposizione diventa un ipertesto, collegando il “dentro” delimitato dalle pareti bianche con un “altrove” che assume forme mutevoli, spesso filtrate dallo sguardo tecnologico; gli studi invece si aprono temporaneamente alla dimensione espositiva, trasformandosi in display, luoghi di autorappresentazione della pratica stessa.
Attraverso lo sguardo sullo spazio del fare, gli artisti indagano anche quel complesso sistema di legami che intercorre tra di loro e che spesso si sostanzia in una identità collettiva, così come il ruolo dell’osservatore nella costruzione dell’opera stessa.
L’iperluogo artistico diviene un territorio di risignificazione in grado di contenere la complessità del presente e di generare nuove forme di convivenza.

1. Sveva Angeletti

Display: Scontorno a 2Є, videoproiezione, 00.03.00 min.

L’opera racconta come l’artista emergente sia spesso portato a svolgere lavori saltuari e prestazioni occasionali pur di garantirsi un sostentamento. Angeletti ha lavorato per due anni nell’ambito della postproduzione fotografica con l’obiettivo di ingentilire immagini di opere d’arte altrui, pronte per il secondo mercato, quello delle case d’asta. Il ruolo dello “scontornatore” è paragonabile a quello dell’operaio, che ripete gli stessi comandi in modo compulsivo. Ogni volta che questa operazione viene messa in campo, il contesto significante cambia. Scontorno a 2Є mette in evidenza la natura instabile di ciò che guardiano in un’era in cui ogni cosa è soggetta alla postproduzione. Il luogo diventa qui un campo aperto, su cui è possibile intervenire attraverso un gioco di alternanza tra contenuto e contenitore.

Studio: Studio Visit, installazione sonora, 16.07.00 min e QR.

L’opera riflette sulla dinamica della studio visit, modalità di fruizione privata dell’opera d’arte all’interno dello spazio intimo di produzione dell’artista. L’impostazione lessicale particolarmente ironica, se da un lato dissacra il concetto dell’atelier contestualizzandolo nella realtà di uno studio professionale, dall’altro riflette sulla modalità sociale di costante corteggiamento da parte degli artisti verso un sistema dell’arte composto da galleristi, curatori, mercanti e collezionisti. Laddove queste personalità non trovano il tempo di andare a fare uno studio visit, lo studio visit diventa portatile: da qui la configurazione formale in un lavoro audio trasportabile e ascoltabile comodamente in cuffia.

2. Alessandra Cecchini

Display: Playing with the idea of a city, 2021, installazione multimediale, dimensioni variabili (durata video 01:30:00 min circa).

L’installazione, composta da due vecchi monitor e da materiale edile, mostra i due video di una partita a Age of Empires II, un videogioco strategico (Ensemble Studios, Microsoft Corporation 1999), giocata tra l’artista e suo fratello. Il basamento su cui poggia l’installazione riporta su un altro piano la narrazione in atto nel video: ogni evoluzione all’interno del gioco è infatti caratterizzata dal cambiamento dei materiali utilizzati e delle tecniche di costruzione. Obiettivo del gioco è quello di costruire intere città fatte di edifici militari e civili e sconfiggere le popolazioni nemiche. Dietro questa struttura apparentemente semplice, sono nascosti diversi riferimenti storici e alcuni elementi come per esempio le mura, l’università, il santuario che soggiacciono all’idea stessa di città e alla sua sopravvivenza. Il gioco evoca anche le potenzialità di armi invisibili come la fede e la conoscenza. Tenendo presenti tutti questi elementi, viene messa in atto una partita destinata al fallimento in cui l’artista difende la propria città ideale senza mai attaccare, sovvertendo così il principio di sopraffazione alla base del gioco stesso.

Studio: Archive for an ideal city, 2021, intervento site-specific per Ipersitu, misure ambientali.

In Archive for an ideal city, Cecchini mette in mostra la sua ricerca sulla città ideale che ha come punto di partenza il concetto stesso di città sviluppatosi nel corso dei secoli attraverso narrazioni contraddittorie e imprevedibili. Punto di partenza di questa esplorazione è sicuramente La Sforzinda, città ideale mai realizzata narrata da Filarete nel suo Trattato dell’Architettura (1460 ca.) e accompagnata da una serie di illustrazione che ne documentano il progetto. A questo riferimento ne fa eco uno contemporaneo, citato da James Bridle in Nuova Era Oscura (Nero Editions, 2019) che riguarda Veles, città della Macedonia, divenuta dal 2016 centro propulsore di fake news. L’operazione deliberatamente congeniata al fine di restituire un’identità ad un luogo a cui era stata sottratta dalla storia appare un interessante tentativo immaginativo filtrato dallo sguardo tecnologico odierno e dai social media. Attraverso questo progetto l’artista pone luce su quelle forme ricorrenti che ruotano intorno al concetto di città, evidenziando il loro significato simbolico e lo stratificarsi nel tempo.

3. Christophe Constantin

Display: Attraverso lo schermo, 2021, cornice in legno, LED, alluminio, plastica, pvc, 147×127 cm.

Una cornice luminosa modifica l’apparenza di una finestra, trasformandola in un simulacro dello schermo. L’opera interroga il confine tra arte e realtà, tra realtà e virtuale e tra arte e virtuale, sottolineandone le interazioni e contaminazioni. Il riferimento evidente al monocromo blu, simbolo di una pittura che si libera dall’urgenza della rappresentazione, diventa a sua volta un codice stratificato che mette in connessione il dentro dello spazio espositivo con il fuori della strada, ma anche con tutto ciò che è un altrove iperconnesso.

Studio: Aria di lavoro, 2021, tombino, smalto su ghisa, 18x130x115 cm.

Per Constantin, lo studio d’artista è una zona in cui portare avanti la propria ricerca, in cui il lavoro prende forma e la presenza dello spettatore non è prevista. Il suo ruolo, comincia quando l’opera è in mostra. La pratica voyerista di visitare lo studio d’artista è spesso assecondata dagli artisti che letteralmente “allestiscono” il proprio studio ai fini della fruizione. Questa posizione “fuori luogo” dello spettatore è goliardicamente associata al gesto effimero di fissare un tombino. Al tempo stesso, l’oggetto sembra alludere ancora una volta ad una dimensione di riappropriazione estetica nonché ad una via di fuga, strategicamente ideata per permettere all’artista di congedarsi dal suo pubblico.

4. Francesca Cornacchini

Display: S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 #1, 2021, video, 00:10:00 min circa.

Vuk Cosic nel 1997 affermava “L’arte era solo un sostituto di Internet”. In particolare l’opera di Francesca Cornacchini allude alle internet challanges, anello di congiunzione tra performance art, i programmi tv basati sul superamento di prove ridicole o pericolose e la partecipazione a rituali collettivi. La performance si fa debole vittima della fruizione involontaria di Youtube o Tik ToK, in un’epoca in cui il corpo viene messo costantemente alla prova tra fail, challanges, dirette e filtri fotografici. Francesca Cornacchini parte dalla cultura underground, come congegno per navigare contromano nel deep web dell’arte contemporanea. Con S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 l’artista sovrascrive dati ed icone, informazioni ed estetiche differenti mettendo in scena una sorta di nuovo martirio che sa di club, di squat e sovrapponendo l’iconografia cristiana a immagini caotiche e casuali, violente e underground. Il risultato è un video in cui si tatua casualmente il costato riproducendo il gesto del martirio del San Sebastiano.

Studio: S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 #2, 2021, installazione ambientale.

Questo video trasmesso nello spazio espositivo ha un diretto rimando nello studio dove è esposto l’intero set in cui si è svolta l’azione.

Ogni elemento rimanda al momento stesso della performance; questa volta sono gli utensili e i suoni che l’hanno accompagnata a proiettarci in una dimensione temporale estranea in cui i segni emergono là dove la presenza è sottratta. L’opera mette in discussione concetti come il luogo, che risultata frammentario e traslato, il corpo che si autodetermina nella pratica del tatuaggio e soprattutto il tempo, che sfugge all’esperienza diretta e si fa rappresentazione: un tempo inteso come un susseguirsi di “adesso” scanditi solo dalla stratificazione di simboli e blocchi di dati.

5. Marco De Rosa

Display: Binge shoping, video, 00.06.00 mim.

Il progetto indaga lo spazio espositivo come display della pratica artistica, facendo emergere tutto ciò che si cela dietro le quinte di un lavoro. Nel video viene registrato l’intero processo di reperimento dell’asta che sospende il monitor esposto e che parte dalla scelta, si materializza nell’acquisto, fino a giungere al montaggio dell’opera. In questo percorso, che passa attraverso piattaforme ditali quali Amazon, diverse spazialità e temporalità si interconnettono, dando vita ad un’esperienza ibrida, all’interno della quale l’opera assume il suo status discostandosi dalla mera oggettualità.

Studio: Vetrina in allestimento, 2021 installazione site specific, dimensioni ambientali.

Anche nel caso di Marco De Rosa, il momento della produzione è un’esperienza intima in cui non necessariamente il pubblico è chiamato a prender parte. Vetrina in allestimento gioca sul confine del voyerismo, amplificando il senso dell’attesa per qualcosa che sta per essere messo in mostra ma privando il pubblico della possibilità di accesso allo spazio. Una copertura in plastica semi-opaca, simile a quella usata nei cantieri, impedisce di vedere cosa effettivamente avviene nello studio. Qui, come in molte sue opere, De Rosa utilizza il linguaggio mutuato dalla strada per soffermarsi sul contesto che permette all’opera di materializzarsi in quanto tale, attraverso lo sguardo incuriosito del suo pubblico.

6. Federica Di Pietrantonio

Display: does it makes u feel alive (tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua), 2021, machinima video from GTA Vice City, video, color, sound, 15:00:00 min.

does it makes u feel alive è un gesto disperatamente ripetuto che fa eco a il tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua (1969), performance di Gino De Dominicis basata sull’impossibilità di eseguire un’azione ottenendo uno specifico risultato. L’innata propensione umana al trovare un’alternativa alle leggi fisiche che governano il mondo concreto, trova analogia nelle dinamiche che abitano l’ambiente virtuale.

Il video, girato su GTA Vice City, mostra un’azione impossibile: nuotare nell’acqua. Quest’azione, connaturata all’istinto umano, non è inclusa come “feature” all’interno del videogioco, il solo tentativo di entrare in acqua ed immergersi causa la morte. Questo tentativo tanto utopico quanto fallimentare ha dato vita a vari trend su youtube creando un rimando diretto con la performance artistica degli anni Settanta.

Riferendosi allo stadio dello specchio descritto da Lacan, possiamo leggere questo gesto da un lato, con un tentativo disperato di cercare sé stessi nell’altro e dall’altro come la possibilità per un alter ego tecnologico di incarnare comportamenti umani quali l’errore, il fallimento e l’apprendimento.

Studio: why is lasting better than burning, 2021, installazione multimendiale.

Con why is lasting better than burning, Di Pietrantonio porta avanti uno dei temi della sua ricerca attuale, legato al confine tra identità e replicabilità mediale. In questo caso, una voce sintentica, generata tramite una intelligenza artificiale, riproduce le vocalità dell’artista mentre legge un testo da lei composto, frutto di una ricerca all’interno dei libri che hanno segnato il suo percorso educativo dall’adolescenza ad oggi. L’artista ha selezionato i libri e copiato le vecchie sottolineature riassemblando tutti i pezzi e cercando di trovare un nuovo significato. Da una parte c’è quindi un tentativo di riappropriazione del sé, dall’altra invece, attraverso l’utilizzo della voce clonata in IA, c’è un’attitudine alla privazione, spersonalizzazione e strumentalizzazione della propria identità.

7. Chiara Fantaccione

Display: En plein air, 2021, installazione (ipad, video da live webcam online, mensola, supporti), 190x40x26 cm.

​​Nell’opera En plein air un paesaggio fittizio nasce dall’accostamento di più dispositivi che riproducono in tempo reale video in streaming di webcam liberamente consultabili online, poste in luoghi difficilmente accessibili e degni di interesse paesaggistico, stimolando un interrogativo riguardante la veridicità di ciò che si sta osservando e una riflessione sull’azione voyeuristica messa in atto nei confronti dell’ambiente. Le immagini perdono la funzione di monitoraggio per assumere una propria identità e un’estetica che ce le fa apparire meno estranee. Questo paesaggio immaginario ci pone antropologicamente dalla parte di chi lo osserva, quella di un moderno Friedrich che contempla la potenza della natura, senza immergervisi con il proprio corpo. Dall’altro lato, l’esistenza di archivi di webcam online dedicate interamente al paesaggio, porta alla mente lo sforzo di tanta pittura impressionista di fermare l’attimo, superato dalla capacità del “tutto e subito” (e per sempre) delle immagini contemporanee.

Studio: Romantic base camp 2021, installazione (tenda da campeggio, tappeto, sunset lamp, fiori stabilizzati ed essiccati, cemento), 200x200x160 cm.

La struttura della tenda delimita uno spazio di separazione dall’esterno, ma esiste soprattutto in funzione di esso, ponendosi in una posizione di rispetto. Questo tipo di relazione è quella che esiste abitualmente anche tra lo spazio espositivo e l’opera site specific che lo abita. La tenda diventa quindi contenuto dell’ambiente e contenitore di paesaggi effimeri, come il tappeto verde prato e la “sunset lamp”, oggetti acquistabili online per soddisfare la necessità di emulazione e di rappresentazione. Il termine romantico è qui utilizzato con una doppia accezione, quella inerente alla sfera del cliché sentimentale come nel caso del tramonto, dei fiori, della camera per due, ma anche quella che allude allo spirito del Romanticismo e alla volontà di dominare la natura, possederla, anche attraverso simulacri kitsch. Il gap tra esperienza diretta e indiretta è colmato solo dalla rappresentazione, che sembra essere l’unica via aderenza al reale.

8. Roberta Folliero

Display: Picture this, 2021, installazione, materiali vari.

Il lavoro consiste in una serie di carrelli di metallo su cui sono posizionate delle piante e vari attrezzi che servono per garantirgli le dovute cure. Le piante scelte hanno necessità differenti, dalla luce, all’acqua, all’utilizzo di specifici nutrienti fino al rinvaso. Su ognuna sarà inserito un piccolo cartellino con un QR code che rimanda ad una delle più cumuni app che identificano la tipologia di pianta e suggeriscono le adeguate cure. L’idea è quella che il pubblico della mostra possa dedicarsi direttamente a queste pratiche, modificandone la posizione e interagendo con gli strumenti a disposizione. In questo modo il progetto dialoga con lo spazio espositivo e con gli stimoli provenienti dall’esterno. I carrelli rappresentano quindi dei connettori mobili, in grado di mettere in relazione, interno ed esterno rispondendo alle necessità dell’opera stessa.

Studio: Moving home, 2021, installazione, scatoli e materiali vari.

Il lavoro consiste nell’impacchettare gli oggetti personali dei componenti dello studio rimossi in funzione delle necessità della mostra e nel collocarli all’interno dello studio dell’artista. In questo modo Folliero mette in scena le dinamiche di un vero e proprio trasloco che consistono nel prendersi cura degli oggetti e della loro fragilità, nell’etichettarli e nel collocarli all’interno dello spazio che perde la sua funzione di luogo di lavoro e ricerca per divenire magazzino di stoccaggio. Lo studio accessibile unicamente attraverso la finestra dialoga con lo spazio espositivo, ancora una volta sovvertendo le leggi confortevoli del white cube.

9. Andrea Frosolini

Display: Bunny is a Rider, 2021, installazione (iPhone e audio) e performarce.

Bunny is a Rider è la narrazione finzionale di un blind-date (appuntamento al buio). I rider, branca della subcultura leather/bdsm, sono uomini (spesso omosessuali) con un forte feticismo per l’abbigliamento tecnico da motociclismo.

L’identità del soggetto rimane celata durante l’intero incontro, il volto non viene mai scoperto e si prediligono pratiche sessuali come il petting, che esaltano tramite lo sfregamento la sensazione con la superficie in pelle che separa i corpi.

L’assenza di identità dei soggetti esalta l’imprevedibilità dell’incontro, creando una situazione potenzialmente ideale. Il rider diventa una blank-canvas su cui riversare la propria definizione ideale di sé. Una maschera ci consente di mostrarci per quello che vorremmo essere, un avatar potenzialmente perfetto del proprio io.

La performance vede due rider, perfetti sconosciuti nella vita, incontrarsi all’interno dell’atelier. L’ambiente è il risultato di una scenografia appositamente congeniata, frutto della conversazione privata dell’artista con i singoli performer che scelgono lo sfondo ideale di questo incontro, un parco berlinese, e gli oggetti che compongono il set.

L’azione mette in risalto il paradosso dell’inversione dei ruoli, mentre tutto è maschera e finzione, lo spettatore è senza veli, costretto a mostrare il suo voyerismo.

Nello spazio espositivo, un iPhone è dimenticato a caricare sul davanzale della finestra.

La cover in pelo con orecchie richiama il titolo della performance che nel frattempo si svolge nell’atelier. La privacy dell’artista è costantemente messa in discussione dalla ricezione di notifiche provenienti dall’app di incontri Grindr attiva sul suo cellularee.

Lo speaker accentua l’audio delle notifiche, segnalando l’arrivo di ogni nuovo messaggio. Il pubblico non ha accesso al contenuto di questi messaggi, ne può valutare solo la quantità e la frequenza. Ancora una volta Frosolini gioca con gli elementi del privato per mettere in luce la natura voyeristica del pubblico, al contempo interroga un altrove fatto di relazioni mediali, frutto delle possibilità offerte dalle piattaforme di social networking.

10. Daniele Sciacca

Display e studio: No stress #1, 2021, QR, collegamento streaming e performance.

Il progetto No stress nasce dall’ angoscia che l’artista vive nel dover mettere in “mostra” il proprio spazio privato e dal desiderio di voler celare il dietro le quinte del proprio lavoro inteso come una confort zone, dove poter sperimentare, sbagliare e riprovare. Se lo spazio espositivo raffigura il palcoscenico per l’artista che si mette in mostra, lo studio rappresenta il dietro le quinte, accessibile solamente agli addetti ai lavori. Lo studio visit ribalta questo principio consentendo al pubblico di spiare ciò che sta dietro all’opera stessa. Il gesto performativo di Sciacca consiste nell’assoldare un’impresa di pulizie che ordini e pulisca lo studio così da poterlo rendere presentabile. L’azione verrà costantemente ripresa su un canale Twitch e sarà fruibile anche all’interno dello spazio espositivo principale, rimarcando quest’attitudine alla spettacolarizzazione dell’arte e dell’artista da parte del pubblico ma anche creando nuove forme di connessione spaziale mediate dallo sguardo tecnologico.

11. Guendalina Urbani

Display e studio: Pastelli, 2021, fotografia macro 31 x 21 x 2,8 cm e installazione.

Una fotografia ritrae un oggetto comune, un vasetto contenente dei pastelli a cera, con questo lavoro Urbani mette in discussione la nostra capacità di guardare, filtrata dalle immagini patinate a cui l’estetica pubblicitaria e del web costantemente ci sottopone.

Nello studio lo stesso soggetto si rivela per quel che realmente è, sovvertendo le leggi dello spazio e costringendoci ad affinare lo sguardo. I due interventi connettono lo spazio, quello fisico con quello della rappresentazione.

Spazio In Situ
Via San Biagio Platani 7
METRO C > FONTANA CANDIDA/DUE LEONI

LAB1 at ARTVERONA

Spazio In Situ _ a project by Porter Ducrist

at LAB1 curated by Giulia Floris // ARTVERONA 2021

MADE IN ITALY

Spazio In Situ at TILT 
Dal 12 al 26 Giugno 2021
> Inaugurazione: Venerdì 11 Giugno alle 18

> aperture Sabato 12 – 9 – 26 Giugno
dalle 10 alle 16
su prenotazione 
info@espace-tilt.ch

TILT
ingresso:  La rue Neuve
tra il civico 1 e 3 
Place du Corso 
1020 Renens
www.espace-tilt.ch

//ENG BELOW

Per la prima volta, Spazio In Situ (Roma) espone all’estero. L’artist-run space romano, fondato nel 2016, ha deciso per l’occasione di mettere in discussione la propria italianità. 

Esportando se stessa, la penisola italiana, come ogni paese, esporta anche una serie di immagini, luoghi comuni che compongono un ritratto spesso caricaturale di quella che può essere definita l’identità nazionale. Spesso, questa rappresentazione si riduce all’idea di una semplice cartolina; una sintesi grezza di una forma di orgoglio nazionale, di una messa in scena del patrimonio. 

Con autoironia, i membri di Spazio In Situ hanno deciso di intraprendere questo spostamento: rappresentando tratti della loro vita quotidiana, giocano con l’immaginario collettivo in giro per l’Italia, con la banalità del cliché. 
“Made in Italy” ci porta per le stradine della capitale italiana attraverso gli occhi degli 11 artisti di In Situ, sublimando con sarcasmo il banale e sottolineandone i paradossi.

L’idea dello spostamento li ha spinti a creare opere smontabili. Progetti destinati ad aggirare i problemi burocratici legati al trasporto delle opere d’arte, aggiornando il famoso Articolo 22, o il tipico “arrangiarsi” italiano. Questi frammenti di realtà diventano piccole composizioni che attirano regolarmente l’attenzione dei turisti, aggiungendo un tocco di assurdo a qualsiasi viaggio in Italia. Immagini ridondanti, che le opere esposte invitano lo spettatore a sperimentare, arrivando fino alla periferia romana di Tor Bella Monaca, dove si trova Spazio In Situ.

“Made in Italy”? Beh quasi, la provenienza degli oggetti non è certa, bisogna considerare che il ready made contemporaneo ha i suoi limiti, e bisogna accettare che la tracciabilità degli oggetti esposti ha poca importanza quando si parla di opera d’arte.

ENG

Arrived at the ending of this season that we could define as eventful, Spazio In Situ decides to make the artists from the Italian and roman scene and artists of the international scene, dialogue each other.
Through a selection of artworks that focus on travel, the curator P. Ducrist has built an exhibition path to tell his concept of contemporary art aesthetics, where emerge concretely, the wrecks of concepts developed by the romantic movement. Thus, there’s no better place than Rome, the leading city of the Grand Tour, as the destination to receive and catalyze this thought.
In this context, the chosen place adds to Voyage/Voyage a primordial interpretation, that obliges the public to think about the contemporary transposition of turism, with its massification and, in the actual circumstances, with its complete nullification.

Travel is the starting point of thought that the curator proposes to the public of the artist-run space of Tor Bella Monaca, to focus on the several problems of contemporary art. From the action of traveling to the one of moving, bringing back the spectator to his everyday life, scattering and redundant fragments of the treated theme, and finding a winking to the classical subject of the history of art. Ultimately, the exhibition doesn’t aim to take a specific and univocal position, contrariwise it tries to open new tracks that are referred to the concept and its shapes, putting on the foreground the complexity of this theme, to show to the roman public a broad and heteroclite vision. When one starts a journey, there is always a departure and an arrival point, but it is in the middle that we write a tale, with the important stops, chance encounters, not to mention the importance of the means of transport. When we decide to leave, consequently we embark on a journey, a story that Voyage/ Voyage decides to tell you.

<=/SPAC3

Spazio In Situ presenta: <=/SPAC3 _a cura di Porter Ducrist

<sveva angeletti> Trecentosessanta metri cubi circa
<alessandra cecchini> Contenere il cielo #3
<christophe constantin> Non-finito
<francesca cornacchini> Ruins of me
<marco de rosa> Sirena
<federica di pietrantonio> im all poor drowings and bad decisions, tenderly basic
<chiara fantaccione> Every time I look at you I fall in love
<roberta folliero> un po’ d’aria fresca
<andrea frosolini> KINDA SINKIN’ <but still wet>
<guendalina urbani> bicchiere

#1 inaugurazione: 24 Ottobre – 13:00/21:00
#2 inaugurazione: 31 Ottobre – 13:00/21:00

– <=/SPAC3 è prorogata fino al 15 Gennaio 2021, in accordo con le nuove normative.

– per mantenere le norme di sicurezza consigliamo ai visitatori di contattarci per organizzare al meglio gli orari e non creare assembramenti.

La mostra sarà visitabile ogni giorno <su appuntamento> dalle 10:00 alle 18:00.


<insitu.roma@gmail.com – IG: @spazioinsitu FB: @insituroma>

La digitalizzazione intensiva inserita nel sistema Arte impone grandi cambiamenti organizzativi e concettuali che modificano a fondo il dispositivo di esposizione. Fino a poco fa la tecnologia numerica era un appoggio, come una protesi che offriva una maggior visibilità di un oggetto concreto. Mese dopo mese, anno dopo anno, ha preso più importanza che mai ed è diventata la finalità stessa dell’opera, ossia una smaterializzazione dell’oggetto con un potenziale riproduttivo infinito, con un costo pari al nulla. Un tale processo annulla completamente l’Aura di un’opera, riducendo il confronto con lo spettatore alla mera rappresentazione dell’opera stessa. La digitalizzazione è riuscita ad imporre al sistema arte una perdita totale di legittimità, il tutto con il consenso dell’ambiente nella sua quasi totalità. Questa corsa sfrenata alla visibilità ha annichilito una caratteristica profonda del ruolo dell’artista, requisendogli il monopolio sulla produzione d’immagini, capovolgendo, anzi, la situazione in una forma di grande “copia/incolla” nella quale non si capisce più chi è l’originale e chi il falso. Il più grande problema è l’omogeneizzazione del discorso in questo “gran teatro di pazzi” che è diventata la vita contemporanea. L’opera dematerializzata è traslocata in un non-luogo, sommando un calco sul piano della raffigurazione del reale, come se l’arte dovesse illustrare la copia della copia di se stessa, essendo, quest’ultima, una rappresentazione del reale, una sorta di superamento ascendente della realtà. Un’azione che la distacca completamente da qualsiasi critica, essendo diventata essa stessa il risultato di una trascendenza semiologica; L’Arte È! Tale statuto la protegge tramite un auto-legittimazione, priva di dialogo e di confronto, priva anche di una possibile via di uscita. L’arte con la digitalizzazione ha perso la sua ragion d’essere, in un processo analogo a quello che ha interessato il mondo della pittura nell’ottocento, sopraffatta dalla fotografia. Diventa interessante vederne gli effetti, quello che rimane dopo aver rimosso ciò che era ancora tangibile nell’apparato di esposizione. <=/SPAC3 è quindi pensata nell’ottica di un capovolgimento dell’oggetto mostra, integrato al non-luogo che ha sostituito lo spazio espositivo; sottolineandone le caratteristiche come una lunga descrizione, la mostra racconta lo spazio nella sua immaterialità e, insieme, la sua concretezza semantica all’epoca della sua riproducibilità digitale. Sottraendo allo spazio lo statuto di veicolo di arte, è l’arte stessa che ne giustifica l’utilità. Un tale cambiamento di postura, ne rivela una totale illeggibilità del senso, rendendone astratta persino la sua definizione. È nella ricerca di un senso che il pubblico è invitato a spostarsi tra le opere. Queste dialogano tra di loro fluttuando nell’ambiente, immergendo lo spettatore in un grande limbo, alla ricerca ossessiva di un filo logico. Ma nella destrutturazione del discorso, le opere esistono da sole, obbligando il fruitore a navigare nell’incognito.

Porter Ducrist

ENG//

The intensive digitization inserted in the Art system requires major organizational and conceptual changes that fundamentally modify the display device. Until recently, numerical technology was a support, like a prosthesis that offered greater visibility of a concrete object. Month after month, year after year, it has taken on more importance than ever and has become the very purpose of the work, that is, a dematerialization of the object with an infinite reproductive potential, with a cost equal to nothing. Such a process completely cancels the Aura of a work, reducing the confrontation with the viewer to the mere representation of the work itself. Digitization has managed to impose a total loss of legitimacy on the art system, all with the consent of the environment in its almost totality. This unbridled rush to visibility has annihilated a profound characteristic of the artist’s role, requisitioning him the monopoly on the production of images, turning the situation upside down in a form of great “copy / paste” in which it is no longer understood who the artist is. ‘original and who the fake. The biggest problem is the homogenization of discourse in this “great theater of madmen” that has become contemporary life. The dematerialized work is moved to a non-place, adding a cast on the level of the representation of the real, as if art were to illustrate the copy of the copy of itself, the latter being a representation of the real, a sort of ascending overcoming of reality. An action that completely detaches it from any criticism, having itself become the result of a semiological transcendence; Art IS! This statute protects it through a self-legitimation, without dialogue and confrontation, also without a possible way out. With digitization, art has lost its raison d’etre, in a process similar to the one that affected the world of painting in the nineteenth century, overwhelmed by photography. It becomes interesting to see the effects, what remains after removing what was still tangible in the display apparatus. <= / SPAC3 is therefore conceived from the perspective of an overturning of the exhibition object, integrated with the non-place that has replaced the exhibition space; Underlining its characteristics like a long description, the exhibition tells the space in its immateriality and, at the same time, its semantic concreteness at the time of its digital reproducibility. By subtracting the status of vehicle of art from space, it is art itself that justifies its usefulness. Such a change of posture reveals a total illegibility of its meaning, making even its definition abstract. It is in the search for meaning that the public is invited to move between the works. These interact with each other floating in the environment, plunging the viewer into a great limbo, obsessively searching for a logical thread. But in the deconstruction of the discourse, the works exist by themselves, forcing the viewer to navigate the unknown.

Porter Ducrist

quando cade la magia, rimane la disinvoltura

Non si capisce sempre quanto la nostra società̀ sia finta, e soprattutto con che stratagemma questa finzione si nasconda. A primo impatto, tutto, ad incastro, va nel migliore dei modi. Ma andando a scavare un po’, emergono delle incongruenze, piccoli dettagli che ne fanno svanire la magia. È solo quando si comincia a guardare con un occhio disinvolto che la realtà̀ si spoglia di tutto quello che ha di superficiale. Denudata da quello che serve al suo abbellimento, rimane solo il “Perché́”. A questo punto tutto vacilla. Questa precarietà̀ è il punto di partenza per un viaggio nel nostro tempo, e nel lavoro di queste quattro artiste.
Il pubblico è immerso in un mondo che lo coinvolge ma gli impone il ruolo di semplice spettatore, una stranezza familiare che gli impedisce di interagire lasciandolo fuori da ogni dispositivo.
Le opere sono attivate da loro stesse, si muovono, lampeggiano, parlano, in una ripetizione meccanica, non per forza lineare. Non è il pubblico che agisce su di esse, ma forse esse stesse che trasportano il pubblico da un’altra parte, un mondo delle meraviglie privo di ogni incantesimo. “Quando cade la magia, rimane la disinvoltura”, con le sue assurdità̀ e la sua poesia. Un mondo che paradossalmente trasuda di cinismo, ma dal quale emerge un relitto di poesia. Lo spettatore, confuso da quest’assurdità̀ ingenua quanto scientifica, è forzato a deambulare in mezzo alle opere. Non è lo spazio che è allestito ma il tempo di fruizione, ritmato dal casino sonoro e visivo prodotto dai lavori in mostra. Un paese magico dove, anche la stessa magia è capovolta in una “voragine” schizofrenica.
Lo spazio si trasforma in una sorta di parco d’attrazione smembrato, un grande vuoto nel quale la presenza è stata robotizzata, il tempo sembra fermo in un’inerzia senza via di uscita, un tempo diventato illusorio in una società̀ decaduta. Gli oggetti perdono le loro caratteristiche principali, mantenendo la loro funzione, questo ribaltamento ridefinisce il senso utile delle cose, per soffermarsi sull’effetto prodotto. L’ambiente animato da presenze meccaniche, si trasforma in una grande catena caotica, nella quale è rimasto solo un vecchio sogno d’infanzia, una purezza giocosa. Lo spettatore diventa passivo, è un semplice visitatore che attraversa un tempo senza poter esserne partecipe, un alienato, messo da parte da un ritmo irregolare ma perpetuo.
“Quando cade la magia, rimane la disinvoltura” è un giusto “corso delle cose”. Il tempo viene contenuto in un cerchio senza fine, l’individuo si perde in un infinita ripetizione. Quello che rimane alla fine di questa lunga storia è quello che ne è stato prodotto. Un bellissimo sogno di cui rimangono solo frammenti sparsi e dispersi nello spazio espositivo.

FUORI GRA

Con l’arrivo dell’autunno a Roma ci si prepara per la Rome Art Week (RAW), la più grande maratona d’arte contemporanea della capitale, ed anche quest’anno, come da tradizione, Spazio In Situ partecipa con un nuovo progetto: FUORI-GRA.Il gruppo di artisti, nato nel lontano 2016 nella lontana Tor Bella Monaca, ha cavalcato l’onda della prima edizione della RAW presentando Cosa Sarebbe Se?, la prima mostra collettiva dei sei artisti residenti nello Spazio. A questa prima esperienza sono seguite un ciclo di mostre personali raccolte sotto il titolo di Assurdità Contemporanee, grazie alle quali i diversi artisti hanno iniziato ad essere conosciuti al grande pubblico, ed il grande pubblico a sua volta, ha iniziato ad entrare in stretto contatto con una delle periferie romane più difficili.Spazio In Situ diventa un’officina di idee, contaminazioni e ibridazioni, ed è proprio la sua continua e costante effervescenza artistica a colpire ed interessare il circuito tradizionale del sistema dell’arte.In poco più di due anni i loro progetti nati nel suburbio della città, hanno valicato i confini fisici del Grande Raccordo Anulare, entrando nei salotti che contano della città eterna.Spazio in Situ da semplice gruppo di artisti si è presto trasformato in un vero e proprio artist-run space, dove gli spazi comuni trasformati in galleria espositiva, sono stati aperti alle idee e alle opere di artisti esterni, regalando a Tor Bella Monaca un respiro internazionale.Spazio In Situ diventa così un nuovo polo per l’arte in continua crescita. Ai sei artisti fondatori del progetto se ne sono aggiunti altri cinque, insediati in un nuovo studio che ha preso il nome di Spazio In Più. La stagione appena trascorsa è stata inaugurata e chiusa da due importanti mostre collettive per il gruppo: la prima Assurdità Contemporanea presso la Temple University e la seconda Chilometro 0 presso The Gallery Apart.Spazio In Situ, non è solo uno spazio indipendente, ma anche un luogo ai margini sia del sistema dell’arte, sia della città, perché da un punto di vista geografico si trova proprio al di là del GRA. Il gruppo di artisti, formato da: [Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini Christophe ConstantinFrancesca CornacchiniMarco De RosaFederica Di PietrantonioChiara FantaccioneRoberta FollieroAndrea FrosoliniDaniele SciaccaGuendalina Urbani] per riscattare la loro posizione periferica e rivendicare la loro condizione di artisti in evoluzione in stretto contatto con la realtà del luogo che abitano, con il progetto FUORI-GRA inverte il normale processo di inurbamento, organizzando una maratona che dal centro della città taglierà il traguardo soltanto varcando la soglia del GRA.La periferia assume significato come luogo sempre in relazione ad un centro, ma qual’è la nostra idea di centro? E quanti centri attraversiamo e possediamo?Abbiamo l’abitudine di pensare il centro delle nostre città come il contenitore di ciò che è bello, di una tradizione culturale da valorizzare, un luogo accogliente in cui chiunque aspirerebbe a vivere, magari in un attico con vista sul Colosseo o anche un monolocale a Trastevere. Ma di certo gran parte delle persone non trascorre la loro vita nel centro storico, piuttosto lo attraversa come si attraversa un museo, che diventa così fiore all’occhiello delle istituzioni sempre aperto per una visita last minute.Il centro storico in questo senso resta per i romani il luogo simbolo di un’identità collettiva immaginaria, ingessata in una tradizione altrettanto collettivamente immaginata (oltreché inventata).Ma sono i luoghi in cui noi entriamo in relazione con l’Altro che rappresentano centri di valori e significati, luoghi di rappresentazioni culturali e produzioni identitarie, che danno senso al nostro vivere e percepire la città. Così la città diviene policentrica e i confini tra centro e periferia diventano sempre più soggettivi e modulabili, finanche ad invertire il senso dell’uno e dell’altro nei discorsi di chi li abita.È in quest’ottica che Spazio In Situ diventa una piazza aperta in cui riunirsi, diventa un centro dove si produce e si sostiene la cultura, un luogo in cui vivere e verso cui tendere.Con Il progetto Fuori-GRA gli artisti vogliono sottolineare come il Grande Raccordo Anulare sia per tutti una frontiera e al tempo stesso anche un limite psicologico.Gli undici artisti riuniti partiranno dal centro seguendo undici itinerari diversi e personali, che li porteranno ad affrontare il viaggio in maniera del tutto indipendente, proponendo per la prima volta una maratona a Roma che invece di girare intorno al Colosseo, ti porterà in altri centri vitali della città.

All’interno del barattolo

Following the 2018 exhibition Assurdita’ Contemporanea, the Gallery of Art of Temple University Rome is presenting a new project by Spazio In Situ, an artist run space in the neighborhood of Tor Bella Monaca, which has recently emerged as one of the most interesting art spaces in Rome. In this last year, this co-working studio has grown, with the addition of six new young artists, Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Francesca Cornacchini, Federica di Pietrantonio, Daniele Sciacca and Guendalina Urbano.The current exhibition All’interno del Barattolo, is the first time that these artists are exhibiting together in a public space.The exhibition underlines the mission of Spazio In Situ to remain in constant dialogue with the work space as a source of artistic experience, a type of generator able to put in dialogue artists of very different mediums and styles (photography, installations, painting), but linked by their reflection on their daily existence, between container and contained, media and message, reality and art, in a relationship that also involves the spectator.

OUT OF SPACE

Sveva Angeletti | Christophe Constantin | Marco De Rosa | Federica Di Pietrantonio | Chiara Fantaccione | Roberta Folliero | Andrea Frosolini | Francesco Palluzzi | Daniele Sciacca | Elisa Selli | Guendalina Urbani

Due anni fa Spazio In Situ apriva le sue porte per la prima volta, interrogandosi su cosa sarebbe diventato a breve e a lungo termine. Due anni sono ormai passati e anche se tante domande hanno trovato risposta, le preoccupazioni sono sempre le stesse. Da sei artisti siamo passati a undici e i 400 mq sono diventati 600. Lo spazio di Tor Bella Monaca evolve, senza perdere la sua identità e la sua singolarità nel panorama artistico capitolino.
La linea dello spazio è più che mai tracciata: consapevole delle proprie qualità, In Situ si interroga riguardo il sistema dell’arte contemporanea, sulle sue caratteristiche e su quanto il suo statuto sia complesso. L’artist-run space è simultaneamente uno studio d’arte e uno spazio espositivo, zona di creazione e di fruizione, senza mai essere pienamente l’uno o l’altro. Personalmente lo qualificherei periferico al mondo dell’arte, una parola che Spazio In Situ ingloba pienamente sia a livello geografico che sul modo in cui si presenta come entità. Un luogo che lega la giovane produzione al rigore necessario, per trasmettere con qualità le idee degli artisti e permettere allo spettatore di fruire al meglio le opere. Uno spazio come questo ha un dovere morale da non sottovalutare, tanto quanto una galleria o un museo; tutti e tre sono mediatori di qualcosa di primordiale per la società odierna, la cultura. Questo ruolo non deve perdere di vista il suo potere pedagogico e le responsabilità che ne comporta.

Dare cultura o fare cultura è di per sé tentare di sradicare o per lo meno diminuire l’ignoranza costruendo un confine, operando in una zona rischiosa che purtroppo già è stata conquistata da un populismo internazionale. La qualità è democratica solamente se ottenuta studiando e lottando, essa si merita. È unicamente valutando la qualità, l’impegno, la consapevolezza di responsabilità morale e la coerenza che si può definire il coefficiente culturale di un operatore artistico. Presuntuoso? Sicuramente. Si tratta più di un ideale che di una vera qualifica, l’obbiettivo comune da raggiungere.

L’artist-run space può e deve tenerlo a mente: la ricerca di un miglioramento dell’offerta culturale non si presenta come prodotto ma come dono. È necessaria una costanza nella qualità dei lavori proposti, puntando non solo sulla realizzazione, ma soprattutto sul contenuto tramite messaggi universalmente leggibili per chi conosce il linguaggio dell’arte. Come tutte le altre lingue, questa necessita uno sforzo: ha la sua grammatica, che permette la chiarezza sulle intenzioni e sul messaggio, un’ortografia, ovvero il modo in cui si deve presentare, una coniugazione, legata al rapporto con la società odierna, e un vocabolario, costituito dalle forme che compongono l’opera. Tutti possono pretendere di essere artisti, come tutti possono pretendere di parlare inglese, ma solo i fatti certificano le parole, l’azione definisce l’autenticità di tale pretesa. Non sono i like o altri strumenti di misurazione che consentono la valutazione di un’opera, bensì le competenze di chi la fa e di chi la giudica. Questo fragile equilibrio esige un’eterna rimessa in questione, in un ambito che non deve essere contaminato dall’ignoranza; protetto ma aperto, non si deve mai staccare dal mondo reale. Come detto prima, è una grande responsabilità quella di diffondere cultura, pertanto un mediatore artistico deve valutare senza perdere di vista queste necessità, prima fra tutte la coerenza tra parole e azioni.

Spazio In Situ è cosciente di queste responsabilità e del suo ruolo, quello di uno spazio in cui la condivisione, il dialogo e la serietà si sposano per creare arte, uno spazio giovane, in perpetuo sviluppo che si costruisce su una base solida.
Dopo due anni, Spazio In Situ cambia forma, una crescita non solo della sua superfice e degli artisti che lo compongono, ma anche una crescita di consapevolezza del suo dovere e delle sue caratteristiche. Anche quest’anno In Situ riflette su quello che è, uno spazio di fruizione e di produzione periferico. “Out of space” è un nuovo interrogativo degli artisti di fronte allo spazio che abitano, senza perdere di vista la leggerezza che infondono nella loro produzione.

Porter Ducrist

Out of space, fuori dallo spazio, fuori dal proprio spazio, fuori luogo, in periferia; ancora nel linguaggio informatico, fine dello spazio di archiviazione dati. Con questa mostra Spazio In Situ inaugura altri cinque studi d’artista, presentati sotto il nome di Spazio In Più.

Come altre volte in passato, il vero protagonista della mostra è il contesto, all’interno del quale gli artisti intervengono con sottolineature leggere. Un artist-run space è uno spazio in periferia rispetto al Sistema dell’Arte; in questo caso però la periferia è anche geografica e su tale aspetto giocano questi artisti che, a ogni inaugurazione, sfidano le distanze e invitano il pubblico a uscire dai confini del circuito ufficiale di musei e gallerie per approdare nel quartiere di Tor Bella Monaca.

Questa mostra su due livelli apre un nuovo capitolo, una nuova narrazione; il Tempo è di nuovo co-protagonista e le opere, volutamente in ombra rispetto al luogo che abitano, dialogano con quest’ultimo e tra di loro, mentre noi siamo inconsapevolmente partecipi di un’attesa, con la temporalità straziante e soggettiva che essa comporta. La mostra parte dall’assunto che ciò che vediamo all’interno di un luogo espositivo sia necessariamente arte. Quest’ultima è però mostrata senza sfarzi e senza sforzi, nella sua condizione di oggetto; l’intervento dell’artista in alcuni casi è appena percettibile e questa presenza così labile è la chiave di lettura dello spazio.

Le opere ci spingono così a riconsiderare il contesto in termini nuovi, senza cercare rifugio nelle forme o nelle rassicuranti categorie che solitamente incasellano le opere d’arte. Alla domanda “cosa ho davanti?” non c’è risposta perché l’unico interrogativo al quale questi artisti vogliono attualmente rispondere è “dove sono?”; ogni intervento è quindi pensato per rivendicare l’identità forte che Spazio In Situ ha costruito nel corso di questi due anni di attività. Lavorando in funzione del contesto che non è solo quello interno alle quattro mura, ma anche il quartiere, la città, con le proprie caratteristiche e problematiche, ogni artista sposta l’attenzione su ciò che solitamente è cornice, contenitore. L’inutilità del gesto artistico è rivendicata con forza attraverso operazioni che rifiutano interpretazioni poetiche e si rivolgono unicamente alla realtà, con le sue molteplici e contraddittorie sfaccettature.

Out of Space non è un tentativo ingenuo di sovvertire le leggi del mercato, anzi. La mostra è una lettura lucida dello spazio, reale e virtuale nel quale l’opera compie il suo ciclo vitale. Gli artisti, attraverso movimenti impercettibili, modulazioni di luce, messe in scena, artifici apparentemente inutili, disegnano davanti ai nostri occhi la scenografia di un luogo che, pur essendo fortemente radicato alla realtà, è contenitore di finzione.

Il tempo che abitiamo è sospeso, in attesa di un nuovo episodio.

Alessandra Cecchini