Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Roberta Folliero, Guendalina Urbani
curated by Porter Ducrist
15.02.20 / 07.03.20
Non si capisce sempre quanto la nostra società̀ sia finta, e soprattutto con che stratagemma questa finzione si nasconda. A primo impatto, tutto, ad incastro, va nel migliore dei modi. Ma andando a scavare un po’, emergono delle incongruenze, piccoli dettagli che ne fanno svanire la magia. È solo quando si comincia a guardare con un occhio disinvolto che la realtà̀ si spoglia di tutto quello che ha di superficiale. Denudata da quello che serve al suo abbellimento, rimane solo il “Perché́”. A questo punto tutto vacilla. Questa precarietà̀ è il punto di partenza per un viaggio nel nostro tempo, e nel lavoro di queste quattro artiste.
Il pubblico è immerso in un mondo che lo coinvolge ma gli impone il ruolo di semplice spettatore, una stranezza familiare che gli impedisce di interagire lasciandolo fuori da ogni dispositivo.
Le opere sono attivate da loro stesse, si muovono, lampeggiano, parlano, in una ripetizione meccanica, non per forza lineare. Non è il pubblico che agisce su di esse, ma forse esse stesse che trasportano il pubblico da un’altra parte, un mondo delle meraviglie privo di ogni incantesimo. “Quando cade la magia, rimane la disinvoltura”, con le sue assurdità̀ e la sua poesia. Un mondo che paradossalmente trasuda di cinismo, ma dal quale emerge un relitto di poesia. Lo spettatore, confuso da quest’assurdità̀ ingenua quanto scientifica, è forzato a deambulare in mezzo alle opere. Non è lo spazio che è allestito ma il tempo di fruizione, ritmato dal casino sonoro e visivo prodotto dai lavori in mostra. Un paese magico dove, anche la stessa magia è capovolta in una “voragine” schizofrenica.
Lo spazio si trasforma in una sorta di parco d’attrazione smembrato, un grande vuoto nel quale la presenza è stata robotizzata, il tempo sembra fermo in un’inerzia senza via di uscita, un tempo diventato illusorio in una società̀ decaduta. Gli oggetti perdono le loro caratteristiche principali, mantenendo la loro funzione, questo ribaltamento ridefinisce il senso utile delle cose, per soffermarsi sull’effetto prodotto. L’ambiente animato da presenze meccaniche, si trasforma in una grande catena caotica, nella quale è rimasto solo un vecchio sogno d’infanzia, una purezza giocosa. Lo spettatore diventa passivo, è un semplice visitatore che attraversa un tempo senza poter esserne partecipe, un alienato, messo da parte da un ritmo irregolare ma perpetuo.
“Quando cade la magia, rimane la disinvoltura” è un giusto “corso delle cose”. Il tempo viene contenuto in un cerchio senza fine, l’individuo si perde in un infinita ripetizione. Quello che rimane alla fine di questa lunga storia è quello che ne è stato prodotto. Un bellissimo sogno di cui rimangono solo frammenti sparsi e dispersi nello spazio espositivo.
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